L’ostilità dell’ambiente apuano: le avvertenze del Soccorso Alpino Toscano

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Pubblichiamo questa nota perché siamo stati chiamati ad intervenire più di una volta per degli alpinisti in difficoltà su una via di arrampicata situata nel comprensorio del Pizzo
d’Uccello.
Questo vetta, situata nelle Alpi Apuane settentrionali, è rinomata per l’impressionante parete nord, che si può osservare in tutta la sua maestosità dalla Foce Siggioli.
A partire dagli anni Venti è stata teatro di numerose ascensioni e tra queste la più classica è sicuramente rappresentata dalla via Oppio – Colnaghi, con un dislivello di circa 660 metri per uno sviluppo complessivo di 850 m. Negli anni siamo stati chiamati ad intervenire molte volte su questo versante e la maggior parte degli interventi sono stati caratterizzati da infortuni anche molto gravi dovuti alla caduta di rocce e alla difficoltà di orientamento incontrate dagli alpinisti in uno sviluppo caratterizzato da camini e diedri.
La difficoltà prettamente tecnica qui deve fare i conti con un ambiente severo, tipicamente apuano, dove il meteo e la preparazione fisico-mentale rappresentano fattori di primaria importanza.
Con l’evoluzione dell’alpinismo e dell’arrampicata sportiva sono state tracciate nuove vie, tutte caratterizzate da un livello di difficoltà piuttosto elevato. Queste, anche se dotate di ancoraggi e soste moderne, si inseriscono in un ambiente di alta montagna, dove la capacità di progressione in parete deve essere accompagnata da un forte senso di orientamento e dalla capacità di movimentazione sul misto apuano, fatto di rocce, erba, placche e detriti.
Una volta terminata l’ascensione infatti iniziano le difficoltà maggiori, quelle legate all’ambiente. Non si incontrano infatti più soste e i riferimenti tipici della via di
arrampicata terminano.
Nello specifico vogliamo porre l’attenzione su una via moderna, la Marathon, aperta nel 2018 e che ha uno sviluppo di circa 1000 m.
Su questo via, molto bella e di grande attrattiva per gli arrampicatori esperti, abbiamo già effettuato in un breve periodo di tempo due interventi di soccorso, ed entrambi lungo il tratto che va dalla fine della via vera e propria (ovvero la parte moderna chiodata a fix) alla cresta di Nattapiana.
Dopo aver terminato la via infatti si apre uno scenario severo, dove non sono presenti chiodi o soste: anche se la cordata ha appena effettuato una salita di circa 1000 metri di dislivello con difficoltà elevate (6b+/A1 max; 6a obbl.), il tratto che si deve affrontare fino alla cresta di Nattapiana richiede esperienza nel muoversi nel tipico terreno apuano. Se non si possiede questo tipo di esperienza e se non si è adeguatamente attrezzati, è consigliata la discesa in doppia della via.
In generale l’appello che vogliamo inviare agli alpinisti che intendono intraprendere delle ascensioni su roccia specialmente in questa parte delle Apuane è quello di porre molta attenzione alla fase finale, quella seguente alla via di arrampicata vera e propria: poche volte infatti le ascensioni terminano direttamente sulla vetta e il grado di attenzione deve rimanere
elevato, dovendo affrontare creste e ambienti ostili.

Ufficio Stampa SAST
Paolo Romani